Luisa e il silenzio che parla d’amore - Parte I

Luisa ha cinquantasei anni e lavora come impiegata in una sartoria. È una maga con ago e filo, una di quelle donne capaci di rammendare non solo i tessuti, ma anche le giornate storte.

Da sempre, però, ha scelto di lavorare solo al mattino. Non per pigrizia, ma per amore della sua libertà, della sua casa immersa nel verde delle praterie toscane, e di quei lunghi pomeriggi da vivere lentamente.

Fino a due anni fa, i suoi pomeriggi e le sue sere erano cullati dall’amore di suo marito, Salvatore. Lui era un artigiano, preciso e instancabile, e amava profondamente il suo lavoro.

Ma non quanto amava Luisa.

Ogni giorno si svegliava alle quattro del mattino e iniziava a lavorare di buona lena. Non era solo dedizione: era impazienza. Voleva finire tutto entro le tre del pomeriggio, per correre da lei. Per abbracciarla.

I loro pomeriggi non erano avventurosi, almeno non nel senso comune del termine. Erano fatti di lunghe passeggiate tra i campi, silenzi condivisi che non pesavano, pomeriggi in cui Luisa si perdeva nella narrativa, mentre Salvatore leggeva — e rileggeva — il giornale.
Poi, verso sera, si sedevano uno accanto all’altra, con una tazza di tè tra le mani: caldo in inverno, freddo in estate.

Parlare era il loro modo di amarsi, più ancora dei gesti. Ogni parola era un abbraccio, ogni sguardo una promessa. Ma da due anni Luisa vive senza Salvatore. Se n’è andato in punta di piedi, nella notte, senza far rumore.

Eppure, la sera prima aveva detto qualcosa di diverso. Di più.
Ogni sera le diceva che l’amava, ma quella sera aveva sussurrato parole che sembravano scelte con cura, come un messaggio lasciato in una bottiglia al mare del tempo:

Mia cara Luisa, ti amo da quarant’anni, e non c’è stato un solo giorno in cui non abbia ringraziato l’universo per averti incontrata. Tu sei stata la mia luce, il mio riparo, il mio orizzonte.
Quando ci siamo conosciuti, ero solo un filo d’erba fragile nel vento. Con te, sono diventato un albero. Forte, radicato. Vivo. Abbiamo camminato insieme senza mai farci ombra, e questo, amore mio, è il miracolo più grande. Il cielo non ci ha dato figli, è vero.
Ma l’universo sa che ci siamo bastati.
Non c’è stato giorno in cui mi sia mancato qualcosa, perché c’eri tu.
Sempre tu.
Ci siamo sempre detti che uno non può vivere senza l’altro. Ma sappiamo anche che, un giorno, uno dei due dovrà restare. E affrontare il mondo da solo. Se dovessi andarmene prima io, ti prego… non sentirti sola.
Non lo sarai mai. Tornerò.
Sarò il vento che ti accarezza il viso, il fuoco che ti scalda nelle sere d’inverno.
Sarò la pioggia sottile che ti sfiora la pelle, e la luce dorata che filtra tra le foglie.
Sarò vicino a te in ogni cosa bella, in ogni silenzio che parla d’amore.
Non essere triste, Luisa. Abbiamo avuto la vita più bella che potessimo immaginare. E anche se non so cosa ci sia oltre la morte, so con certezza che ovunque io sarò, ti porterò con me. Perché tu mi hai donato la vita. Ti amo per sempre.

Luisa aveva ascoltato quelle parole con stupore e una strana serenità. I

l mattino dopo, quando capì che Salvatore se n’era andato, provò un dolore immenso.

Ma non il vuoto. Era piena. Piena d’amore.

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