Il mito della perfezione e la bellezza dell’imperfezione
Accettare l'errore, l'imprevisto, la fragilità: un gesto radicale di umanità
Viviamo in un tempo che premia chi sa mostrarsi impeccabile. Curriculum massicci, sorrisi dritti e smaglianti, corpi scolpiti da allenamenti. E così, ci affanniamo ogni giorno a nascondere le crepe — come se l’imperfezione fosse sempre qualcosa da correggere, mai da accettare.
E se la parte più vera di noi dimorasse proprio lì?
Il filosofo Umberto Galimberti ha spesso sottolineato come l’essere umano sia l’unico abitante della terra consapevole della propria imperfezione. Gli animali seguono l’istinto: sanno già come affrontare la vita, a differenza nostra. Noi uomini nasciamo incompleti, fragili, senza istruzioni. Non abbiamo una natura predefinita, ma dobbiamo costruirci: attraverso l’educazione, la cultura, le relazioni, la ricerca di un senso.
Approdiamo nel mondo senza certezze, e la loro assenza da inizio al nostro percorso. Per questo motivo, l’imperfezione non è un errore, ma la nostra condizione originaria. È ciò che ci rende umani.
In certe culture, ciò che è imperfetto è sinonimo di qualità. Nella tradizione giapponese del wabi-sabi, ad esempio, una crepa non viene nascosta: si evidenzia con l’oro, perché quella rottura è parte della storia dell’oggetto e contribuisce alla sua bellezza.
Anche il pensiero occidentale, in particolare quello esistenzialista, ha difeso il diritto all’incompiutezza. Simone de Beauvoir, tra le prime voci a rivendicare la libertà dell’identità, ha scritto che l’essere umano non è mai qualcosa di definitivo, ma un progetto in continua trasformazione. Non siamo nati per essere perfetti, ma per diventare.
E allora, perché tutta questa fatica per sembrare impeccabili?
Forse perché pensiamo che essere vulnerabili significhi essere deboli. Ma chi accetta la propria fragilità dimostra una forza silenziosa e profonda. È nell’imprevisto, nel vuoto, nell’errore che spesso la vita ci parla più chiaramente. Forse è in questi momenti che ci invita a ripartire.
Come suggerisce un celebre verso di Leonard Cohen, a volte è attraverso una crepa che entra la luce.
Accettare l’imperfezione non significa rinunciare a migliorarsi, ma concedersi una tregua, facendo spazio a sé stessi. E scoprire che la vera bellezza non sta nella perfezione, ma nell’autenticità.
Per approfondire:
Galimberti, U. (2007). L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani. Milano: Feltrinelli.
De Beauvoir, S. (1949). Il secondo sesso. Milano: Il Saggiatore (ed. italiana 2008).
Koren, L. (1994). Wabi-Sabi: per artisti, designer, poeti e filosofi. Ratio et Revelatio.
Cohen, L. (1992). Anthem, dall’album The Future.